日本

 


Giappone. Nihon, Nippon per quando bisogna farsi belli con le altre Nazioni.

日 è il kanji per “Sole”, 本 è quello per “origine, radice”. Curioso come non sia niente di più che il kanji 木 (che sta per “albero, legno”) con quel tratto che evidenzia ciò che dell’albero sta a terra, da cui origina, no?

“Origine del Sole”, Sol Levante per gli amici.

Realtà abbondantemente permeata da un leitmotiv che passa inosservato -ma che viene sistematicamente richiamato ogni volta che si scopre qualcosa su di essa-, ha avuto in passato la capacità di carpire elementi da altri stati e riadattarli a sé integrandoli nella cultura, come la scrittura o la religione, e continua a farlo inondandosi di bellezza e aggiungendo strati, trovando un posto per tutto.

Ho da poco concluso il mio sesto viaggio in Giappone, e nonostante abbia visto luoghi per la seconda o terza volta, mi sono portato a casa qualcosa di nuovo.

A pensarci bene ogni volta che ci sono stato mi sono portato a casa qualcosa di nuovo: negli anni, crescendo e cambiando punti di vista, livelli di percezione e schemi di osservazione, sono sempre tornato a casa più ricco di prima. Constatazioni (tipo il caldo soffocante di un Agosto), esperienze (tipo una visita al pronto soccorso per il caldo soffocante di un Agosto, scoperte (come la fattura dell’ospedale per il trattamento di un colpo di calore per il caldo soffocante di un Agosto).

Da qualche parte, ad essere impopolari e onesti, ho uno spazio dove sono grato per lo scossone pandemico; sono conscio di averla vissuta da un punto di vista quasi privilegiato, non avendo avuto più di tante rivoluzioni nella logistica e bilancio della vita di tutti i giorni, però a volere spremere tutta la limonata anche da questo limone, secondo me qualcosa di costruttivo si trova.

Dopo tre anni di stop forzato dato un po’ col freno a mano, dove tutto ha avuto l’italianità come rumore di fondo, l’accelerazione è stata turbolenta e un po’ annaspante, come per respirare quell’aria lì, come se il diaframma fosse stato trascinato dalla dilatazione dell’universo.

E’ stato interessante spaziare in così poco tempo dai confini ristretti di un appartamento, con le sue regole costrittive e silenzi spietati, all’espansione improvvisa del mondo con un volo di quindici ore.

Ed è stato interessante anche arrivare e sentirsi disinvoltamente a casa.

「おかえりなさい」dice il cartello degli arrivi all’aeroporto, “bentornato”. Come se ti conoscesse già. E poi ti butta nel turbinio di bellezza.

La costante che ho sempre trovato in Giappone è la poliedricità con cui ti stupisce; il mind-blowing è sempre dietro l’angolo e può accadere a tutti i livelli e in tutti gli ambiti ed è pronto a premiarti, a patto che tu sottragga il giudizio dall’equazione. Non c’è posto per il confronto, non c’è posto per il giudizio, non c’è posto per una scala, non c’è posto per il razionale; il Giappone ti mostra la bellezza trasversale in un numero di sfumature che l’analisi razionale non è in grado di sopportare. Ti mette alla prova e ti accompagna nella tua graduale scoperta. Aprirsi alle sue regole è la chiave di volta, altrimenti hai solo visto “un posto”.

Più sei abituato a fare rumore con la mente, meno coglierai il senso e i dettagli delle mille cose che in Giappone non sono lasciate al caso. Spesso è tutto previsto, studiato e pesato, e farsi sfuggire il dettaglio di come sovente i noodles nei ramen siano posati in modo da facilitare la presa con le bacchette, ad esempio, è un po’ un peccato.