I sensi (?) della vita.
Sono sempre stato affascinato dalla luce e da quello che crea.
Ogni tanto dal calderone delle memorie lontane salgono bolle di ricordi, situazioni, luoghi, intrisi di odori.
I legami più forti della mia infanzia sono quelli associati a odori e colori; capaci di catapultarmi in istantanee di cui ricordo tutto.
Riflettevo sull’impatto che hanno gli organi di senso sulla mia persona; gettano una luce diversa sulle peculiarità dei miei processi emotivi, perché anche se ce li insegnano in un paio di capitoli durante l’ora di scienze in un pigro martedì pomeriggio a scuola, nascondono certe gemme che possono regalare gioie, e forse gettare una luce diversa su quello che siamo come esseri umani.
Dicevo, i miei ricordi più saldi sono quelli accompagnati da ciò che passa attraverso gli occhi e il naso.
Il naso aveva la sua prepotenza quando ero piccolo rispetto agli occhi, probabilmente non ero in grado di godere del potenziale della vista; la vista è stimolata e attivamente gestibile, il naso si trova investito da odori -che lui lo voglia o meno-, odori di qualsiasi tipo e non può fare altro che processarli…forse ero anche io così da piccolo.
Così ora mi trovo in mano frammenti un po’ impressionisti di una stanza in casa di mia zia a Heilbronn, in Germania, in cui ho dormito su un materasso per terra durante quella vacanza; stanza con una finestra basculante che si affacciava sul retro di un qualche tavola calda mitteleuropea. Formaggio fuso e pane tostato.
Ogni abbraccio di mia zia. Fumo di sigaretta e un profumo pericolosamente somigliante a un Hypnotic Poison di Dior.
L’asilo e il mobile con i cubetti per gli zaini (il mio era tappezzato di una carta azzurra perchè le gender norms le mangiavamo la mattina). Lisoformio.
La baracca piccola dell’orto di Pianderlino, nel freddo di un ottobre inoltrato, mio nonno, una stufa di ghisa antica, una padella bucata. Fumo di camino e caldarroste.
Le colazioni in una riscaldatissima cucina a casa di mia nonna, tintinnìo di cucchiaino nella tazza, sigla elettronica dell’ora esatta e dell’oroscopo del TG5 mattina. Thè caldo alla pesca.
Un’aia con il riparo all’interno per le galline, il mobiletto da aprire per prendere le uova dal nido. Odore acre di escrementi di gallina.
Sonnolenti Messe di mezzanotte di Natale. Incenso.
L’entrata in piscina per l’allenamento di pallanuoto. Cloro.
I giorni della vendemmia, torchiatura, imbottigliamento. Uva fermentata.
I giorni della facoltà dei favi. Miele.
L’uscita dall’hotel e l’entrata nello scantinato per mettere gli sci al Passo del Tonale. Neve e smog.
Andando avanti negli anni e apprezzando le esperienze che la vita mette davanti, il senso su cui si adagiano i ricordi è sempre più frequentemente la vista.
La vista è più selettiva, improvvisa, direttamente connessa alle distanze, governabile, e per i momenti opportuni, oscurabile.
La vista apre a quel mondo magico che sono i colori, che ho da sempre apprezzato, che mi hanno da sempre affascinato, capaci di evocare qualsiasi stato d’animo e atmosfera.
Ed è qualsiasi alba, tramonto, mercato, tempio, scatola, città, luce di natale, lanterna, candela, brace, camino, mare, foglia, gallina bianca, gatto nero.
Il bello dei colori è che esistono e continueranno ad esistere, ma non esisteranno più le esperienze in cui li hai colti. Sono esperienze che iniziano, finiscono e non lasciano tracce precise a parte quel piccolo vuoto dentro il torace a posteriori.
Io lavoro vicino all’aeroporto, sul mare. Uscendo dall’ufficio agli orari giusti, specie in autunno e inverno, vieni investito da un potentissimo rosso/rosa/arancione/blu da farti perdere l’equilibrio sulla moto. Di quei momenti non me ne ricordo neanche uno. E’ come un tuffo dentro il mare freddo, non ti ricordi ogni singolo salto, ne hai fatti altri mille ma ti puoi solo portare dietro quel poco che ti rimane, come quando ti svegli da un’anestesia.
Se davvero la mia teoria ha senso, chissà quale sarà il prossimo senso a diventare protagonista insieme agli altri. Non vedo l’ora di diventare più grande.
Ogni tanto dal calderone delle memorie lontane salgono bolle di ricordi, situazioni, luoghi, intrisi di odori.
I legami più forti della mia infanzia sono quelli associati a odori e colori; capaci di catapultarmi in istantanee di cui ricordo tutto.
Riflettevo sull’impatto che hanno gli organi di senso sulla mia persona; gettano una luce diversa sulle peculiarità dei miei processi emotivi, perché anche se ce li insegnano in un paio di capitoli durante l’ora di scienze in un pigro martedì pomeriggio a scuola, nascondono certe gemme che possono regalare gioie, e forse gettare una luce diversa su quello che siamo come esseri umani.
Dicevo, i miei ricordi più saldi sono quelli accompagnati da ciò che passa attraverso gli occhi e il naso.
Il naso aveva la sua prepotenza quando ero piccolo rispetto agli occhi, probabilmente non ero in grado di godere del potenziale della vista; la vista è stimolata e attivamente gestibile, il naso si trova investito da odori -che lui lo voglia o meno-, odori di qualsiasi tipo e non può fare altro che processarli…forse ero anche io così da piccolo.
Così ora mi trovo in mano frammenti un po’ impressionisti di una stanza in casa di mia zia a Heilbronn, in Germania, in cui ho dormito su un materasso per terra durante quella vacanza; stanza con una finestra basculante che si affacciava sul retro di un qualche tavola calda mitteleuropea. Formaggio fuso e pane tostato.
Ogni abbraccio di mia zia. Fumo di sigaretta e un profumo pericolosamente somigliante a un Hypnotic Poison di Dior.
L’asilo e il mobile con i cubetti per gli zaini (il mio era tappezzato di una carta azzurra perchè le gender norms le mangiavamo la mattina). Lisoformio.
La baracca piccola dell’orto di Pianderlino, nel freddo di un ottobre inoltrato, mio nonno, una stufa di ghisa antica, una padella bucata. Fumo di camino e caldarroste.
Le colazioni in una riscaldatissima cucina a casa di mia nonna, tintinnìo di cucchiaino nella tazza, sigla elettronica dell’ora esatta e dell’oroscopo del TG5 mattina. Thè caldo alla pesca.
Un’aia con il riparo all’interno per le galline, il mobiletto da aprire per prendere le uova dal nido. Odore acre di escrementi di gallina.
Sonnolenti Messe di mezzanotte di Natale. Incenso.
L’entrata in piscina per l’allenamento di pallanuoto. Cloro.
I giorni della vendemmia, torchiatura, imbottigliamento. Uva fermentata.
I giorni della facoltà dei favi. Miele.
L’uscita dall’hotel e l’entrata nello scantinato per mettere gli sci al Passo del Tonale. Neve e smog.
Andando avanti negli anni e apprezzando le esperienze che la vita mette davanti, il senso su cui si adagiano i ricordi è sempre più frequentemente la vista.
La vista è più selettiva, improvvisa, direttamente connessa alle distanze, governabile, e per i momenti opportuni, oscurabile.
La vista apre a quel mondo magico che sono i colori, che ho da sempre apprezzato, che mi hanno da sempre affascinato, capaci di evocare qualsiasi stato d’animo e atmosfera.
Ed è qualsiasi alba, tramonto, mercato, tempio, scatola, città, luce di natale, lanterna, candela, brace, camino, mare, foglia, gallina bianca, gatto nero.
Il bello dei colori è che esistono e continueranno ad esistere, ma non esisteranno più le esperienze in cui li hai colti. Sono esperienze che iniziano, finiscono e non lasciano tracce precise a parte quel piccolo vuoto dentro il torace a posteriori.
Io lavoro vicino all’aeroporto, sul mare. Uscendo dall’ufficio agli orari giusti, specie in autunno e inverno, vieni investito da un potentissimo rosso/rosa/arancione/blu da farti perdere l’equilibrio sulla moto. Di quei momenti non me ne ricordo neanche uno. E’ come un tuffo dentro il mare freddo, non ti ricordi ogni singolo salto, ne hai fatti altri mille ma ti puoi solo portare dietro quel poco che ti rimane, come quando ti svegli da un’anestesia.
Se davvero la mia teoria ha senso, chissà quale sarà il prossimo senso a diventare protagonista insieme agli altri. Non vedo l’ora di diventare più grande.