Off the grid
Sarà che lavoro in un posto dove si magheggia abbastanza con l’energia elettrica, sarà che tra conoscenze di osteopati e insegnanti di Yoga, insomma…l’elettricità è un po’ quella musica di fondo che c’è nei locali mentre bevi qualcosa con gli amici, non noti la sua presenza, ma quando non c’è fa sentire la sua mancanza.
L’elettricità scorre nei cavi elettrici, i suoi percorsi si dividono, si riuniscono, diventano capillari e precisi, ritornano autostrade trafficate. Un po’ la deformazione professionale mi porta a darle un ruolo marginale, quasi scontato, una cosa che c’è o non c’è e se non c’è pazienza, accendiamo una candela e ci leggiamo un libro.
Invece ha un ruolo fondamentale -se vogliamo rimanere nel mio magico mondo dell’informatica- perché è proprio lei che conduce il gioco. Già nel 600 a.C. qualcuno di nome Talete notò qualcosa di strano mentre maneggiava dell’ambra (che al tempo pare si chiamasse ἤλεκτρον, “elektron”), ma nel 1700, con un omino di nome Benjamin Franklin, che (oltre avere inventato le lenti bifocali) diventò tanto curioso sulla faccenda che inventò anche i parafulmini. Elettrizzante.
Nel mio piccolo angolino di mondo, dalla mia scrivania, mi permette di fare quasi la qualunque. Io -come dice una persona che conosco- “pestello tasti e clicco a caso”, ma poi il lavoro sporco lo fa lei eh, porta dati, accende luci, illumina schermi, invia e riceve segnali. Io, invece, me ne sto con le mie chiappe appoggiate su una comoda sedia Ikea a sorseggiare the verde.
Possiamo dire quindi che permea gran parte dell’ambiente. C’è ma non si vede e se si vede è un temporale, è un grande aiuto o un grande pericolo, forse la salvezza del clima, chi lo sa.
Oggi camminavo uscito da palestra ed è salito a galla dal calderone della psiche il pensiero che la ho anche io, dentro, da sempre. Ben prima di Franklin e di Talete.
Concezione piuttosto stupida, visto che il sistema nervoso si studia in terza elementare. Probabilmente quell’informazione aveva bisogno della sua revisione venticinquennale e il corpo ha approfittato del macello epico che sono capace di creare in palestra per urlarmi in faccia “EHI! CHE CAZZO FAI!” e ricordarmi che anche io ho un sistema di cavi elettrici, molto esteso, molto particolare, molto capillare…e molto potente. E da un grande potere derivano grandi responsabilità.
Cosa sono capace di fare io, me stesso medesimo, con tutti questi cavi? Usarne il meno possibile per ottenere la massima resa. Parlo di qualsiasi attività fisica, movimenti, corpo libero.
Un investimento che premia all’inizio -come il meccanismo dell’ansia- ma che alla lunga nuoce, per lo meno a me.
Nuoce perché il numero degli anni che ho passato e che passo in terapia (dove con terapia intendo percorso di conoscenza di me stesso, non risoluzione di mali/disturbi/malattie -mi batterò fino alla morte per portare avanti questa distinzione vitale) servono a molare questo mio “essere mentale”.
Recentemente ho assistito a un identikit della mente, dove ho imparato le cose preferite che soddisfano questa parte analitica e razionale del sistema, e cosa invece non possono essere sopportate. Anche nel libro “La dittatura delle abitudini” di Charles Duhigg è spiegato che la mente per sua natura ama la ripetizione, l’ottimizzazione, la mira, “punta e va diretta all’obiettivo”; meccanismo sacrosanto e giustamente programmato biologicamente: massima resa con la minima spesa, è così che -credo- siamo sopravvissuti a qualche millennio di storia, “poche palle e stai all’erta, perché o uccidi per mangiare o vieni ucciso per essere mangiato”. Attacco o fuga.
Quello dell’”attacco o fuga” è uno schema mentale che esiste dentro il cervello a cui si attinge quando necessario -fortunatamente in scala, non devo scappare da un leone, al massimo devo correre quando vedo il vigile avvicinarsi alla moto sguainando il blocchetto delle multe-.
Riprendendo il filo elettrico del discorso (pun intended), è indubbio che tutto ciò che la mente schematizza col tempo venga compensato e viene trovato un compromesso: dove magari “quella situazione che non è generalmente pericolosa potrebbe trasformarsi in una shitstorm di livello” viene compensata con uno stato di tensione/attenzione simile a quella dell’atleta in posizione sui blocchi di partenza, in attesa dello sparo, che nella maggior parte delle volte non arriva mai.